Anarchici a “parlano i vignaioli” – Bari 16 e 17 gennaio 2016

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Le vesti ripulite dagli ultimi residui di macerazioni in assenza di ossigeno, lieviti selezionati, barrique con tostature medie di primo e secondo passaggio, mosto concentrato e pratiche enologiche moderne. Gli occhi lavati dalle enostrutture ingegneristicamente avveniristiche.
La faccia di circostanza addobbata con pizzi e merletti e ricamata da tanti dubbi e pochissime certezze.

Così ci siamo svegliati domenica mattina presto per andare alla volta di Parlano i Vignaioli, la rassegna dei produttori dei vini naturali e artigianali, organizzata a Bari. Scevri da ogni pregiudizio. Pronti ad abbandonare il labirintico mondo del vino moderno e piacione. I vignaioli non solo parlano ma ti riaddomesticano il palato al vino che parla di territorio e tradizione. Ti resettano la scheda Ais che ti porti dentro e te ne rendono una nuova fatta di curiosità e incertezze.

Ogni assaggio, ogni colore, ogni discussione è un'apertura nel muro delle conoscenze che pensi di avere. Ritrovi sentori sopiti e nascosti. Ritrovi puzze che credevi di aver abbandonato al varco del primo livello nella damigiana del nonno. Ritrovi il piacere del lievito indigeno e del vitigno autoctono. Non più sciardonnè che sa di sovingnon. Non più fiano che dà di frutta esotica. Non più residui zuccherini nascosti: tutto sembra più pulito.
Senti in bocca le anfore e acidità che non credevi possibili. Senti in bocca i tannini di certe uve bianche da macerazioni lunghe. Senti un'improvvisa voglia di nasconderti nel labirinto delle tue passioni che diventano via via certezze al contrario. Tutto ti piace. Tutto diventa bello. Perfino la puzza, che stavolta è puzza per davvero, viene dall’ascella di un ignoto accanto a te. È la rivincita delle turbolenze e del caos dell'annata, delle rifermentazioni incontrollate, dei timori enologici contro il vino perfettino e preconfezionato.

Siamo andati via dopo trentordici (svariati) assaggi. Felici. Allegri. Senza mal di testa. Senza acidità che ti ripropongono il vino per i giorni successivi. Tutto bello? Tutto buono? Tutto oro che luccica e lastrica la strada enoica dell’ignaro assaggiatore? No, ovviamente no. La paura, il timore e il dubbio (l’ennesimo!) è che qualcuno sposi la moda del naturale e ci marci un po’ su. Non vorremmo mai vini parzialmente modificati per farli sembrare biologici o biodinamici.

Poi...

Oggi, dopo qualche giorno, mi è tornato in mente il sapore e il profumo di un vino a base albarola, dalla Liguria, dal quale non mi sarei mai allontanato. Un vino talmente imperfetto che era perfettissimo.